CRISI POLITICA: USCITE LE PAGELLE!

Mentre i nostri studenti sono alle prese sul registro elettronico con le valutazioni  del Primo Quadrimestre, è giusto in questo giro di boa mettere un po’ sotto esame anche la nostra classe politica, anche alla luce della nascita del nuovo Governo Draghi.
Ecco dunque la loro pagella…
10 a Sergio Mattarella. “Meno male che Sergio c’è” verrebbe da cantare. Uno stile sobrio come non mai ma una risolutezza istituzionale erede della Prima Repubblica della quale ha saputo conservare lo spirito migliore. Un padre, (o meglio: un nonno), che lascia spazio ai nipoti un po’ irrequieti e presuntuosi per poi, a pastrocchio fatto, farli adagiare sulle ginocchia  e riservare loro uno di quegli insegnamenti di vita che costituiscono le fondamenta solide, le radici per i passi futuri.
9 a Mario Draghi. Con 200 miliardi da spendere è l’ultimo italiano rimasto che con credibilità e rigore potesse garantire al Paese l’opportunità di non sprecare questa grande occasione di crisi da vivere come concreta opportunità di riconversione e rilancio e non come l’ultimo assalto alla diligenza di una classe politica sempre più affarista e inadeguata. Ha accettato, e già questa è una buona notizia. Chissà che una maggioranza così non sia anche il preludio per un futuro trasloco al Quirinale, lasciando la casella di Palazzo Chigi ai politici una volta passata la tempesta.
8 a Giuseppe Conte. Il “signor nessuno” che si trova a vivere – suo malgrado e per sua fortuna – uno dei momenti più complessi della storia politica, economica e sociale di un Paese già da tempo in affanno. Ha provato ad imparare un mestiere non suo cammin facendo, ci è riuscito solo in parte, ma la sua mitizzazione mediatica ha aiutato un popolo allo sbando ad aggrapparsi a una flebile speranza di resistenza. “Di doman non c’è certezza”, chiedere di più sarebbe stato un azzardo.
7 a Matteo Renzi. Il più arrivista, ipocrita, inaffidabile politico dell’ultimo decennio (beninteso, insieme al suo omonimo leghista) riesce nella seconda grande impresa degli ultimi dieci anni. Dopo essere riuscito a far eleggere con il vecchio parlamento un Presidente pacificatore come Sergio Mattarella, in luogo di una bandiera divisiva e lacerante come Romano Prodi, riesce nella fase più delicata a scompaginare i falsi equilibri di un governo che andava avanti arrancando per forza di inerzia, con una “crisi di prospettiva” che offre al Paese quantomeno un’opportunità. Difficile credergli, ma a conti fatti questa volta sembra averlo realmente fatto non per le poltrone ma semplicemente per sentirsi un machiavellico gigante tra troppi nani.
6 a Silvio Berlusconi. Condannato all’anonimato, relegato nelle retrovie dall’avanzare populistico di Meloni e Salvini, riesce a rientrare in gioco con una mossa istituzionale di grande respiro. Dopo aver vissuto la sua esperienza politica da “prima donna”, avvelenando i pozzi dello stile istituzionale e del confronto parlamentare, riesce nella sua quarta vita a giocare un ruolo da “comparsa” che lo ributta sulla scena con grande clamore e applausi scroscianti. Come amava ripetere un grande attore di teatro “Non esistono grandi parti o piccole parti, ma solo grandi attori e piccoli attori”.
5 al Movimento 5 Stelle. Evita la catastrofe cambiando pelle. Da movimento quasi eversivo, i grillini sono diventati custodi del Palazzo, e non è detto che questo sia un male, anzi. È solo la dimostrazione che governare è una cosa seria, che impone studio, competenza, formazione, senso delle Istituzioni e rispetto dell’interlocutore, non soltanto generose patenti di onestà autoattribuite, per di più senza particolare merito ed effettivo riscontro. Una forza con circa 300 parlamentari tra Camera e Senato che ha constatato la sterilità politica di posizioni ideologicamente manichee. Forse non sono stelle al tramonto, ma di certo il loro bagliore si è rivelato tutt’al più quello di fioche candele.
4 a Giorgia Meloni. Più per l’esito che non per il merito. È la media tra un otto alla coerenza della linea e lo zero dell’isolamento con cui esce dalla crisi. Contro un governo del “tutti dentro” fare “opposizione responsabile” è un rischio più che un’opportunità nella difesa del consenso. Se il governo va bene non potrà chiamarsi dentro alla partita, se dovesse andar male gli storici alleati di governo non saranno esenti da colpe e responsabilità.
3 a Matteo Salvini. La svolta europeista segna la bocciatura della sua linea politica. “I soldi fanno venire la vista ai ciechi” recita un antico adagio e 200 miliardi del Recovery Fund erano un piatto troppo succulento per non sedersi al tavolo (o alla tavola). Ciò non toglie che al Governo ci sono ora i Giorgetti’s Boys. La pancia della Lega seguirà gli strali del pifferaio magico o più facilmente gli sghei erogati dai governisti? Un altro Matteo al tramonto? L’OPA interna tacitamente lanciata da Giorgetti potrebbe far ben sperare.
2 ai parlamentari “responsabili per una notte”. Il loro voto che poteva contare come l’asso di briscola ora conta come un due di coppe quando la briscola è a bastoni. La nobiltà del divieto di mandato imperativo non può essere ogni volta messa in discussione dal mercimonio dei vari Razzi, Ciampolillo o Scilipoti. Bene così!
1 al colpo in canna. Il Governo Draghi è l’ultima (e unica) possibilità che ha il nostro Paese di non sprecare le opportunità di questa crisi per uscirne con una riconversione strutturale che fatica ad essere attuata da decenni. Una maggioranza di pacificazione potrebbe traghettare finalmente il sistema politico da un bipolarismo abortito a un parlamentarismo 3.0. Vista aguzza e polso fermo, il nuovo Premier sembra averli entrambi.
(c) Vito Rizzo 2021

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*