LA “BUONA MORTE”, TRA LIBERTÀ E “INDEGNITÀ”

Come afferma Walter Kasper <<se dopo la fine della metafisica, da molti proclamata, non esiste più alcuna verità né alcun valore assoluto, capaci di guidare e orientare l’azione politica, allora anche le idee politiche democratiche più nobili sono in fondo non solo prive di fondamento, ma sono anche prive di orientamento e possono essere abusate populisticamente>>.

Come spiegare meglio di così la corsa, in poche settimane, di centinaia di migliaia di persone a sottoscrivere il referendum promosso dai radicali per la legalizzazione della morte spontanea.

Nel mondo di oggi, delle “magnifiche sorti e progressive”, tutto è nella disponibilità dell’uomo che può immolare tutto e tutti sull’altare della propria libertà.

Si arriva a ritenere “giusto” disporre della vita, propria o altrui, semplicemente perché ciò è ritenuto “legittimo” dall’ordinamento giuridico.

Ciò apre scenari incontrollati e incontrollabili, dove il diritto positivo può decidere e stravolgere il senso della “giustezza” sull’onda di ben riuscite campagne di marketing.

Papa Francesco nella Fratelli Tutti denuncia proprio questo, il fatto che si è talmente “contaminato” il linguaggio che espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità sembrano aver perso il loro significato. Tra queste parole aggiungiamo anche “dignità”.

Una maggioranza può decidere cosa sia “degno” e cosa “indegno” (lo facevano anche i totalitarismi del ‘900…). Un individuo può decidere cosa sia “degno” e cosa “indegno”. Finanche la propria vita o quella altrui.

Una “vita indegna”!

Sembra un ossimoro, ma è questo a cui ci spinge il mainstream giuridico contemporaneo.

E allora per accalappiare firme a favore della “buona” morte, si può affermare che “se l’eutanasia fosse legale non aumenterebbero le morti ma diminuirebbero le sofferenze”. Non è così, non può essere così. Anche volendo seguire la logica dei promotori referendari la soluzione alla “diminuzione delle sofferenze” sarebbe per l’appunto l’aumento delle morti dei soggetti coinvolti…

Altro slogan, altra bugia. “Liberi fino alla fine”. Si immola la vita sull’altare della libertà. Ma la libertà non è mai assoluta, la vita invece sì.

La vita!

In quanto presupposto dell’esercizio di qualunque diritto individuale, anche secondo le Dichiarazioni dei diritti umani non può che essere tenuta fuori dalla disponibilità dell’individuo e delle maggioranze parlamentari o di potere.

Oggi questi limiti stanno stretti, si vuole disporre di tutto, si vuole la “mela” con la superbia di conoscere “il bene ed il male”, per sé e per gli altri. Si vuole che il proprio metro sia il metro di “giustizia” per sé e per gli altri.

È il peccato “originale” dell’uomo, è il peccato “originario” dell’uomo. È la presunzione di disporre di tutto senza limiti, anche della laica sacralità della vita.

Una vita di sofferenza é inutile? é indegna? é superflua? Non ha nulla più da dare a sé e agli altri? Ne vale o non ne vale la pena?

Possibile che non ci si renda conto che queste domande sono il preludio alla legittimazione di un marketing funzionalista sulla vita stessa.

Promuovere l’eutanasia è un business a vantaggio dello Stato, che non si fa carico del costo del mantenimento in vita e delle cure palliative (quelle sì che riducono le sofferenze senza aumentare le morti).

È un business per la sanità privata che può offrire il prodotto per la “buona morte” come una qualsiasi offerta last minute.

È un business per le associazioni radicali che, grazie al loro impegno libertario, vengono fatte oggetto di danarosi lasciti da parte di quanti, abbandonando la vita, possono disporre dei propri bene a favore delle associazioni paladine delle “conquiste” civili (sic!).

“Cui prodest?” Chi ci guadagna? Gli antichi romani, molto più esperti di noi nell’arte del diritto, avevano ben capito come fare per smascherare un bluff…

P. S. Ai tanti che hanno firmato in assoluta buona fede il quesito referendario pongo alcune semplici domande. Nel momento in cui si sdogana il diritto alla morte cosa impedisce a un parlamento o a un’associazione radicale di promuovere l’estensione del diritto alla morte a tutti i disagi, fisici e psicologici, a tutte le persone anziani, adulti, giovani, bambini? È quello che già accade in alcuni ordinamenti della “civilissima” Europa, dove si può scegliere di morire perché si è “stanchi di vivere”, perché si è depressi, perché ci si sente inutili, emarginati, inadeguati, falliti.
In una società che vive della cultura dello scarto, che tende a mettere ai margini, siamo sicuri che la “buona morte” sia la soluzione più giusta?
Mi permetto di nutrire qualche dubbio.
Non è così che si rispetta la vita, non è così che si è conosce la dignità, non è così che si garantisce la “vera” libertà.

(c) Vito Rizzo 2021

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