LA GIOIA DELL’ANNUNCIO

«Predicare il Vangelo è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo» (1Cor 9,16). Le parole di San Paolo hanno il dovere di riecheggiare nel cuore di ciascun cristiano che non può non sentirsi parte attiva dell’annuncio che Cristo ha affidato alla Sua Chiesa.

  1. La chiesa in uscita

Non esiste Chiesa, se non in missione. Non esiste Parola di salvezza, se non condivisa con gli altri. Non esiste gioia piena, se non nell’annuncio di Cristo.

Papa Francesco ci invita continuamente a realizzare una Chiesa in uscita. Una Chiesa che non si nasconda nel chiuso delle mura di un edificio ma abbia l’ardore missionario di Paolo; che non si fermi sull’uscio dell’aeropago ma che senta il bisogno di portare la bellezza dell’annuncio, la gioia piena a cui ciascuno agogna, sentendola senza conoscerla (At 17,22-23). L’annuncio di quel Dio che è ignoto perché non conosciuto, anche a causa di quanti, sebbene abbiano ricevuto col battesimo il mandato di farlo conoscere, spesso lo custodiscono come tesoro geloso, più simile al talento sotterrato (Mt 25,18) che non alla perla preziosa (Mt 13,44-46).

«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Andiamo! Usciamo! «Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina» (EG 11).

È attraverso l’annuncio che si apre un processo di continua e costante conversione che cambia ciascuno degli attori in gioco. Tanto chi parla la Parola del Signore, quanto chi ascolta la Parola del Signore. È soltanto attraverso questo dialogo, ispirato dalla grazia dello Spirito Santo che pulsa all’interno del Popolo di Dio, che è possibile mostrare la vacuità del desiderio di gioie effimere lontane da un’armonia che coinvolge tutta l’umanità e ciascun fratello. Quello che guida le riflessioni di Papa Francesco tanto nella Laudato si’, quanto nella Fratelli Tutti, è il fatto che questa spasmodica ricerca di un appagamento edonistico, sganciato dalle relazioni con sé, con gli altri, con il creato, con Dio stesso, in una vita vissuta nelle vanità (Qo 1), giorno dopo giorno porta ad una meta che non è il fine agognato (télos) ma la fine temuta (péras). Questo appare sempre più evidente di fronte alle contraddizioni del mondo che rischiano di mondanizzare la stessa fede e lo stesso annuncio cristiano. Bisognerebbe ritornare a farsi testimoni della bellezza della vita in Cristo, mostrando concretamente come l’azione dello Spirito Santo possa essere straordinariamente creativa, ben oltre i confini, i muri, gli steccati che troppo spesso vogliamo, per timore umano, erigere.

  1. I quattro principi di Papa Francesco

In questo percorso ci aiutano i principi che Papa Francesco ha offerto alla riflessione della Chiesa; principi che devono essere propri dell’azione pastorale, come illustrato nell’Evangelii gaudium, ma che diventano vere e proprie categorie ermeneutiche per vivere la Chiesa nel mondo contemporaneo.

Cosa significa allora affermare che il “tutto è superiore alla parte”? Vuol dire cercare la volontà concreta di Dio negli eventi e nella storia, comunitaria come di ciascuno. Per farlo il metodo è allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti (cf EG 237). È per questo che per Francesco il modello di Chiesa da seguire non è il cerchio che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e un altro, ma il poliedro «che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (EG 236). Come osserva il teologo argentino Juan Carlos Scannone nel modello del poliedro ogni parte ha il proprio contributo da apportare al bene comune «poiché il poliedro non uniforma né omogeneizza, bensì fa con-fluire le differenze in consonanza e armonia, come in un’orchestra»(1).

Non meno importante è che “la realtà è superiore all’idea”. L’idea non deve mai separarsi dalla realtà, è invece necessario che entrambe vivano un costante dialogo (cf EG 232): solo così è possibile fare in modo che la Parola sia costantemente incarnata e venga messa in pratica (cf EG 2344).

Entrambi questi principi aiutano anche a fare in modo che “l’unità prevalga sempre sul conflitto”, sull’esempio di Gesù che «fa la pace» mediante il sangue della croce (cf. Col 1,20). Il conflitto perciò non va né ignorato, né sminuito, ma nemmeno ci si può lasciare imprigionare in esso; il conflitto va assunto! È cioè necessario accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo (cf EG 227).

Infine, cosa comporta in concreto riconoscere che “il tempo è superiore allo spazio”? Per Francesco, mentre il tempo proietta verso il futuro e spinge a camminare con speranza (cf LG 57), lo spazio, la congiuntura del momento, rappresenta un limite. Ecco che allora dare priorità al tempo significa occuparsi di «iniziare processi più che di possedere spazi» (EG 223), significa accettare l’idea di essere «ospedale da campo», di curare le ferite, cominciando dal basso.

Papa Francesco ci spinge a immaginare una Chiesa capace di accostare ogni uomo e di camminargli accanto, come fece Gesù con i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,15), non adattandosi allo spirito del mondo ma accompagnando ciascun uomo a essere aperto all’azione di grazia di Dio: «è inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo o gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto»(2).

La prospettiva che ogni cristiano deve assumere è riconoscere l’apertura radicale all’azione di Dio in ciascun essere umano. Lo Spirito Santo parla a ciascuna persona attraverso la vita, nell’originalità delle situazioni che egli vive nel presente, nell’esperienza viva e concreta della Chiesa chiamata a farsi carico del momento storico particolare in cui è tenuta di volta in volta a operare(3). Sull’esempio di Dio, è la Chiesa che deve farsi prossima e compagna di viaggio nella consapevolezza che bisogna fidarsi di Lui, perché «Dio sta prima, Dio sta prima sempre, Dio primeréa»(4).

Questa espressione quasi dialettale introdotta da Francesco mostra bene la dinamica che siamo chiamati sempre a riconoscere: il primereàr di Dio; è sempre la grazia del Signore che prende l’iniziativa. Così come gli apostoli hanno sperimentato che il Signore ha preso l’iniziativa precedendo tutti nell’amore, spetta alla Chiesa fare il primo passo, prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Il Signore primeréa sempre: «Quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte» (EG 3). Ne consegue che l’atteggiamento che la Chiesa deve assumere è quello dell’accompagnamento, con «molta pazienza» ed evitando «di non tener conto dei limiti» (EG 24).

  1. Conclusioni

Al cristiano spetta il compito di mostrare al mondo come la felicità autentica sia il fine supremo della vita umana, principio e ragione, senso stesso della vita e dell’agire umano, proprio perché riconduce l’uomo alla pienezza appagante del Principio. In questo ciascun battezzato ha una grande responsabilità, quella dell’annuncio universale che non può essere vissuto con timidezza o vergogna ma è un dovere da assolvere innanzitutto nei confronti di quanti si sentono lontani. L’annuncio di Cristo è educare (tirar fuori e condurre) alla vita, alla gioia, alla felicità: «chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita» (DCE 27). È un percorso a cui ci chiama anche l’attuazione e l’attualizzazione del Concilio Vaticano II: rendere conoscibile l’uomo all’uomo (cf GS 22), lasciando poi che il vento soffi dove vuole (cf Gv 3,8). Abbiamo il dovere, da cristiani, di riscoprire e far conoscere il vero fine della nostra vita, la gioia piena (cf Gv 15,11).

Non bisogna avere dunque timore di mostrarsi, di uscire, di rincorrere, di essere rifiutati o dileggiati. Nessuno di questi è un buon motivo per rinchiudersi o per fuggire. Fa parte del cammino disegnato da Gesù per essere felici, per essere beati (cf Mt 5,3-12). Un’apertura all’altro, al dialogo, al riconoscimento delle diverse sensibilità e ragioni, non rinunciando però mai al servizio della Verità.

Sull’invito di Papa Francesco dobbiamo comprendere con autenticità e pienezza che «un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche ai tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede e una fecondità evangelizzatrice» (EG 11), motivo per cui «non dobbiamo lasciarci rubare la gioia dell’evangelizzazione» (EG 83) perché «la gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere» (EG 84) e quella della quale noi non abbiamo il dritto di privare nessun nostro fratello.

(c) Vito Rizzo 2020

[pubblicato in V.Rizzo (ed.), Ai crocicchi delle strade. Atti del Festival della Teologia Incontri, effed’i, Agropoli (SA) 2020, 9-14.]

 

(1) J.M.Scannone, La teologia del popolo. Radici teologiche di papa Francesco, Queriniana Brescia 2019, 202.

(2) A.Spadaro, Intervista a Papa Francesco, in La Civiltà Cattolica, 164 (2013) III, 461.

(3) Cf S.Bastianel, Coscienza, onestà, fede cristiana, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2018

(4) Francesco, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Rizzoli Milano 2013, 98-99.

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