L’EREDITA’ VIOLATA: UN GIALLO STORICO NEL CILENTO DI INIZIO ‘900

L’Eredità violata, opera prima di Giuseppe Abate, è un libro che sorprende. Sorprende, sì; e supera a pie’ pari il pregiudizio che troppe volte si accompagna alle fatiche degli autori locali. Quasi una naturale diffidenza con la quale dover fare i conti prima ancora che ci sia presi la briga di leggere, o foss’anche soltanto di sfogliare, le pagine dell’opera. Giuseppe Abate fa una scelta naturale, quella di raccontare una storia ambientata nel suo paese, Eredita, ma lo fa scegliendo un genere impegnativo, il romanzo storico, in una versione ancora più rischiosa, il giallo.

L’autore riesce a contestualizzare la storia nell’entroterra cilentano dei primi del ‘900, riesce a raccontare costumi, abitudini, umori, sfumature in parte perdute ma che si conservano ancora nella tradizione orale a cui ha attinto largamente.

È un romanzo che si presta a tanti livelli di lettura: è uno spaccato di un’epoca che rischia di andare perduta, che fa riassaporare il senso di comunità che lega i luoghi e le persone, le famiglie e il comparato, la sacralità identitaria e il rispetto. Non a caso tutto ruota attorno alla festa del Santo Patrono Giovanni Battista, il lavoro quotidiano e il senso della festa.

Permette di recuperare e riscoprire il senso profondo e il valore di comunità che scandisce nei borghi rurali il lavoro e la festa, lo spazio pubblico e lo spazio privato, il senso del dovere e la gioia dello svago condiviso. È quello che ancora oggi consente di conservare il valore delle tradizioni, di far raccogliere tante famiglie attorno al focolare di una identità locale che non merita di essere dimenticata nella cenere di un tempo che si fa sempre più frenetico.

Giuseppe Abate ricostruisce quell’atmosfera, riscopre le radici e attorno ad esse dipana una storia emozionante e avvincente. La trama narrativa è solida e incalzante, la caratterizzazione dei personaggi è forte e credibile, il linguaggio, i sentimenti, le emozioni, le angosce, le paure si cuciono addosso a ciascuno con assoluta coerenza emozionale e di stile. Non è affatto scontato che ciò accada in un’opera prima; se succede è perché l’amore per ciò che si racconta si unisce al talento di chi lo racconta.

L’autore – con grande onestà e cura – dissemina lungo il cammino piccoli indizi che descrivono particolari dei personaggi mai casuali ma che accompagnano il lettore con lo sguardo, l’impulsività e l’ingenuità del bambino che si fa “io narrante”. Eppure non è soltanto un giallo ben scritto e ben strutturato, non è soltanto un romanzo storico che ci cala in un’epoca neanche troppo lontana, non è soltanto un’occasione per recuperare il senso vivo di una cultura troppo spesso snobbata.

Nel suo sguardo appassionato Giuseppe Abate non nasconde il senso etico di una denuncia sociale: uno sguardo sull’umiltà genuina di “come eravamo” per metterci in guardia dal vuoto modernismo cui le nostre comunità sembrano sempre più consegnarsi. Uno sguardo amaro che non si rassegna, ma che anzi si aggrappa alla storia per rinvigorire un rinnovato moto di orgoglio e di dignità.

(c) Vito Rizzo 2021

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