CHIESA E FAMIGLIA: A GUIDARE LA PASTORALE SIA L’AMORE TRINITARIO

Se pensiamo ad una icona biblica che ci aiuti a capire il senso profondo della famiglia cristiana il pensiero non può che andare alla Sacra Famiglia, modello perfetto dell’amore pieno, gratuito, del valore sacramentale dell’unione e del dono di grazia che coinvolge i coniugi. Eppure nell’anno che Papa Francesco ci ha chiesto di dedicare all’Amoris laetitia, l’esortazione apostolica post sinodale sull’amore nella famiglia, quello che emerge con maggior forza è un altro modello. Un modello che forse ci dà meno risposte “immediate”, ma che sicuramente, anche in un’ottica pastorale, ci aiuta ad aprire nuove prospettive e nuovi sguardi.

La Sacra Famiglia è il compimento dell’amore perfetto, ma nel tempo attuale questo può anche spaventare. Un modello “umano” troppo perfetto per essere raggiungibile… secondo l’uomo contemporaneo è forse meglio non provarci nemmeno…

“La realtà è superiore all’idea”, ci ripete spesso Papa Francesco, ecco che allora è forse più corretto come “icona” di riferimento far ricorso a un altro modello, un modello di cui ciascuno di noi non può non fare esperienza, il modello dell’amore trinitario, l’amore che è relazione, l’amore che è dono, l’amore che è dinamismo continuo.

Come già Benedetto XVI aveva espresso nell’Enciclica Deus caritas est «il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano» (DCE 11).

Per fare in modo che sia quel modello di amore ad ispirare l’azione pastorale è bene quindi soffermarsi sulle caratteristiche di questo amore trinitario.

Papa Francesco ripropone testualmente al n.71 dell’Amoris laetitia quanto emerso nella relazione finale del cammino sinodale «La Scrittura e la Tradizione ci aprono l’accesso a una conoscenza della Trinità che si rivela con tratti familiari. La famiglia è immagine di Dio, che […] è comunione di persone. Nel battesimo, la voce del Padre designa Gesù come suo Figlio amato, e in questo amore ci è dato di riconoscere lo Spirito Santo (cfr Mc 1,10-11). Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé e ha redento l’uomo dal peccato, non solo ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale, ma ha anche elevato il matrimonio a segno sacramentale del suo amore per la Chiesa (cfr Mt 19,1-12; Mc 10,1-12; Ef 5,21-32). Nella famiglia umana, radunata da Cristo, è restituita la “immagine e somiglianza” della Santissima Trinità (cfr Gen 1,26), mistero da cui scaturisce ogni vero amore. Da Cristo, attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia dello Spirito Santo, per testimoniare il Vangelo dell’amore di Dio».

Quali sono quindi gli aggettivi che qualificano questo amore? Dio è Misericordia, nel Padre che accoglie e perdona, sempre. Dio è dono, nella creazione del Padre; nel dinamismo di grazia dello Spirito che ispira, sorregge, aiuta a discernere; nel sacrificio di espiazione e nella redenzione del Figlio. Ecco che allora il modello dell’amore che la Chiesa non può stancarsi di proporre al mondo di oggi non può che essere che questo. L’amore che sa farsi carico delle debolezze umane per far assaporare la pienezza della gratuità dell’amore di Dio.

Di qui due prospettive di lettura, la prima rivolta alla famiglia che deve farsi luogo teologico di grazia, spazio in cui far abitare e far crescere questo amore trinitario, la seconda rivolta alla Chiesa e al suo approccio pastorale.

Quanto alla famiglia Papa Francesco al n.90 ci propone l’Inno alla Carità di San Paolo (1 Cor 13,4-7), dove – afferma il papa – riscontriamo alcune caratteristiche del vero amore: «La carità (l’Amore) è paziente», letteralmente «Lento all’ira». Non è forse questa una delle caratteristiche della Misericordia di Dio che l’Antico Testamento affida alla sapienza di Israele (Es 34,6; Nm 14,18)? Il Signore che è «lento all’ira e grande nell’amore» (Salmo 102,8), è questo l’amore trinitario che deve vivere nel matrimonio.

«Benevola è la carità». L’amore è benevolo, vuole il bene e, se vuole il bene, ci dice il Papa, “fa” il bene. Amare vuol dire fare il bene all’altro, al coniuge, ai figli. Non soltanto il dire il bene (bene-dire), ma fare il bene. Nel fare il bene c’è tutto il dinamismo trinitario, dal Padre al Figlio allo Spirito Santo… a ciascun uomo.

Ancora, la carità «non è invidiosa», ma gioisce della gioia dell’altro, riconosce il diritto alla felicità dell’altro che va anche al di là della chiusura del tutto nella relazione. La coppia non è una gabbia escludente, è piuttosto una grazia esclusiva. Sono cose bene diverse. È un dono che non va soffocato ma che deve aprire processi relazionali, che deve mostrarsi «luce sopra il lucerniere» (Mt 5,15) per illuminare con la propria bellezza ciò che ci circonda. È un amore che deve avviare processi per mostrare al mondo la bellezza dell’amore di Dio. “Il tempo è superiore allo spazio”, guai a preservare spazi per la paura di vivere naturali processi.

L’amore «non si vanta, non si gonfia d’orgoglio». Nella coppia non si schiaccia l’altro con la propria superiorità intellettuale, culturale o anche spirituale. L’amore trinitario è dono, è un abbassamento. Il modello è Cristo, Dio incarnato, Colui che «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6-7).
L’amore «non manca di rispetto» e qui il Papa ci ricorda l’importanza della delicatezza nell’entrare nella vita dell’altro. La famiglia è un noi che non si costruisce annullando l’io. «Permesso, grazie, scusa» sono, ci ricorda sempre Francesco, le chiavi per una famiglia felice.

L’amore «non cerca il proprio interesse»: con il matrimonio non si è più da soli ma nel sacramento si è fatta di quella unione una relazione costitutiva della propria vita e di quella degli altri componenti.

L’amore «non si adira». È mai possibile? Forse non sarebbe nemmeno salutare, ma non adirarsi nella dinamica trinitaria non significa non provare amarezza: quante lacrime versa ogni giorno Dio per il peccato dell’uomo… Ma è un amore che supera il dolore e che cerca di aprirsi ogni volta a un dono rinnovato. «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» ci ricorda San Paolo (Ef 4,26), ma se non è possibile, ci dice il Papa, proviamo almeno a benedire nel cuore invocando il Signore nella preghiera.

L’amore «non tiene conto del male ricevuto», di certo Dio non si annota i nostri sbagli.

L’amore «non gode dell’ingiustizia», e qui nella lettura che ci dà il papa ci viene in soccorso la grazia dello Spirito di Sapienza. Quante volte in una relazione si incolpa l’altro perché non si è fatto i conti con le proprie zone d’ombra? È necessario – invita il papa – accettare la propria storia per evitare che la stessa comprometta il nostro stare in relazione.
L’amore, infatti, «si rallegra della verità». Della bellezza e della dignità dell’altro, che è, appunto, altro da noi, bello perché diverso. Che ci interroga, ci stimola, ci sollecita, ci fa crescere nella consapevolezza come persona e come persona in relazione.

L’amore «tutto scusa», non come una vigliacca amnistia, ma come una misericordiosa accettazione dell’imperfezione, “sicut Pater”, appunto.

«Tutto crede», che non significa rinunciare a sé ma avere fiducia nell’altro; «tutto spera», non come auspicio ma come riconoscimento dell’azione di Dio che opera, sempre, che – ricorda Francesco – «scrive dritto nelle righe storte».

Infine, un amore che «tutto sopporta» (1 Cor 13,4-7). Che significa sopportare tutto? Vuol dire portare sopra di sé il peso della diversità dell’altro imparando però a riconoscere sempre e, a volte, nonostante tutto, il volto di Dio che si rivela perché ciascuno è immagine Sua.

Quanto alla seconda prospettiva, se la Chiesa impara a guardare l’altro non come copia, inevitabilmente difforme, della Sacra Famiglia, ma come specchio, vissuto con maggiore o minore pienezza, dell’amore trinitario, si coglie meglio il senso di quel discernimento che il Papa invita a fare quando si entra nella vita vera delle persone.

Quanto alle situazioni irregolari al n.78 Francesco, riprendendo anche qui la relazione finale del Sinodo, ricorda che «Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano». Ne consegue, come richiamato al n.79 che «mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione».

Misericordia, amore accogliente, dono gratuito, dinamismo relazionale, cammino di redenzione: sono questi gli attributi dell’amore trinitario che devono entrare nell’azione pastorale.

Ma di questo continueremo a parlare una prossima volta…

(c) Vito Rizzo 2021

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