HARRY POTTER, DIETRO IL FANTASY UN MESSAGGIO CRISTIANO

Sono ormai lontani i tempi in cui l’allora prefetto della Congregazione della Fede Joseph Ratzinger esprimeva le sue perplessità su quello che andava imponendosi come il fenomeno Harry Potter. In una lettera del febbraio del 2003 alla sociologa tedesca Gabriele Kuby, autrice del libro “Harry Potter: buono o cattivo”, un lustro dopo l’uscita del primo libro della saga di J.K.Rowling, il futuro Benedetto XVI definiva i contenuti del nuovo fantasy “sottili seduzioni” che distorcevano il cristianesimo. Eppure da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e di libri ne sono seguiti altri sei, ed ormai a distanza di più di vent’anni è sempre più chiaro che dietro al genere fantasy l’autrice ha saputo trasfondere in un nuovo linguaggio tanti dei temi propri del messaggio cristiano. Del resto la Rowling è notoriamente una credente che frequenta abitualmente la propria Chiesa protestante e le ultime posizioni pubbliche contro l’ideologia gender hanno avuto il merito di riaccreditarla anche in ambienti cattolici fortemente condizionati dal primo giudizio “a caldo” espresso dal cardinale Ratzinger.

Oggi i teologi si confrontano sul messaggio positivo che questa saga riesce a portare nel mondo giovanile e fioccano le letture teologiche che notano sempre più chiari parallelismi tra l’eroica missione di Harry Potter e la simbologia dell’annuncio cristiano. Da ultimo è bene segnalare l’interessante lavoro di Don Gianluca Bracalante, “Harry Potter: una lettura teologica”, edito dalla Cittadella con la prefazione del Prof. Giuseppe Lorizio e la postfazione dell’Arcivescovo di Chieti-Vasto Mons. Bruno Forte.

Dietro il linguaggio e i temi propri del fantasy, rimbalza infatti un esplicito simbolismo proprio dell’esperienza soteriologica di Cristo: la lotta tra il bene e il male, lo stesso uso della magia che viene messa a servizio degli ultimi da parte di Harry, di Albus Silente, della professoressa Minerva McGranitt ecc. e la distorsione che ne intende fare l’antieroe, Voldemort, “colui-che-non-deve-essere-nominato”, con i suoi seguaci. Un usare la magia per la propria sete di dominio, un distorcere la magia per sovvertire le “leggi creaturali” che volgono tutto al bene. È questo lo sfondo della saga e come se non bastasse a dare conferma a questa lettura teologica intervengono anche i “tipi”, da quelli positivi come il giovane Neville Paciock o il puro Rubeus Hagrid, la brillante Hermione (simbolo di un autentico femminismo che esalta la differenza creaturale), la famiglia “cristiana”, umile e sobria dei Weasley, a quelli negativi come i razzisti sostenitori della “purezza della razza” della famiglia Malfoy, l’ipocrita servilismo di Peter Minus/Codaliscia, l’esaltazione del gusto del male di Bellatrix Lastrange, la bieca “banalità del male” di Dolores Umbridge. Per finire con figure enigmatiche come quella di Severus Piton…

Nell’analisi che ne fa Bracalante, gli stessi incantesimi o pozioni sono, ciascuno, una essenziale pillola di fede ben più efficace, forse, di tante lezioni di catechismo, tutte accomunate da un’unica matrice, l’amore. La pozione Felix Felicis, ossia il saper cogliere il senso vero della vita, il proprio posto, unico e irripetibile, nel mondo, l’Expecto Patronum che rievoca il dono gratuito che si regge nell’amore per gli altri, la pozione Amortentia, da cui l’amore che è in grado di giungere fino all’estremo dono di sè, la pozione Veritaserum che è in grado di far dire la verità anche (e soprattutto) a sé stessi facendo cogliere il vero senso della propria missione tra libertà e predestinazione.

La parabola di Dobby, l’elfo domestico della famiglia Malfoy “affrancato” da Harry, è testimone del passaggio da “servi” ad “amici” che è il cuore della libertà donata da Cristo e vissuta nella fede (Gv 15,15).

Come non scorgere in ultimo il senso profondo del Mistero pasquale nel sacrificio di Harry che accetta la morte per sconfiggere l’ultimo horcrux che si era insinuato nel corso della prima battaglia con Voldemort e che rappresenta il peccato originale sconfitto da Cristo. Come per Gesù, è soltanto nella teologia della croce che Harry rinasce, risorge, come testimone della vittoria del bene sul male, della speranza sulla disperazione, dell’educazione alla magia “di servizio” insegnata ad Hogwards sull’uso della magia a servizio delle proprie brame promossa da Voldemort.

Una saga quindi che, con il linguaggio del fantasy, accompagna alla scoperta del senso profondo del kerygma, del primo annuncio, che è il cuore stesso della nostra fede, che guida al discernimento degli spiriti e alla lotta interiore che ciascuno vive tra il desiderio del bene e le suggestioni del male e con la quale è chiamato a fare i conti costantemente anche lo stesso Harry. Non un eroe infallibile ma un testimone autentico del cammino della vita, aperto alla relazione con gli altri, come ciascun cristiano è chiamato ad essere, e che dalla relazione con gli altri sa cogliere il frutto dei carismi che – fuor di metafora letteraria – fanno della Chiesa un solo Corpo.

Nel ventennale dell’uscita cinematografica del primo Harry Potter forse è giunto il tempo di sdoganare pienamente la positività di un messaggio autentico e appassionante in cui si scorgono e attecchiscono i Semi del Vangelo, riletti alla luce dei “segni dei tempi”. Un linguaggio “irrituale” ma non meno efficace per entrare senza pregiudizi nel mistero cristiano. Un riconoscere il senso del limite, messo in discussione dall’antropocentrismo tecnocratico, che si apre all’Oltre, un Oltre che fa intravedere l’Altro, il cui linguaggio profondo è il linguaggio dell’Amore. L’amore gratuito che è possibile far vivere qui ed ora come risposta alle meschinità del male. L’agape, l’Amore di Dio, l’Amore di Cristo che si fa dono per la salvezza dell’umanità.

(c) Vito Rizzo 2021

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