GIOCHI ON LINE: SONO TROPPE LE FAMIGLIE SUL LASTRICO

I dati ufficiali sono impressionanti: 170 milioni di euro ogni giorno vengono spesi dagli italiani per i giochi (d’azzardo) on line. È bastato un blackout di un giorno (il 30 marzo) per far emergere le cifre tenute nascoste da tutti. Dai principali mass media e dai partiti, che non disdegnano di farsi finanziare dai giganti delle scommesse on line, dal Governo che, grazie al dramma della ludopatia che getta sul lastrico migliaia e migliaia di famiglie, riesce a rimpinguare le casse dell’erario.

Tutti a lamentarsi del Canone RAI o dell’aumento in bolletta delle spese del gas e della luce, tutti a lamentarsi del caro-benzina e delle accise per la guerra in Abissinia, nessuno a lamentarsi del vero scandalo dello Stato biscazziere. Il mondo delle scommesse nel 2021 ha fatturato centoundicimiliardi di euro; per inciso, allo Stato sono andate solo le briciole: delle perdite degli scommettitori lo Stato ne incassa 1/4 e il “banco” privato 3/4.

Chiunque di noi conosce amici, parenti, colleghi che si sono letteralmente rovinati con le scommesse e la possibilità di giocare on line, lontano da occhi indiscreti e da una residuale forma di pudore sociale, non ha fatto che accrescere il “vizio” del gioco.

Se il primo periodo del Covid aveva fatto segnare una frenata delle scommesse, anche a causa delle costrizioni in casa dovute al lockdown (passato da 70 a 40 miliardi di euro di scommesse), la nuova alfabetizzazione informatica, che proprio il lockdown ha stimolato, ha spinto sulle scommesse virtuali, sui pubblicizzatissimi Casinò on line, milioni di cittadini. Se nel 2020 a giocare on line erano prevalentemente i più giovani, in un anno la cifra delle scommesse on line è quasi raddoppiata (da 36 a 67 miliardi di euro) coinvolgendo padri (e madri) di famiglia, se non anche nonne e nonni “tecnologici”.

Tutti sanno ma nessuno parla. Tra ragazzi, dalle mie parti, quando si faceva qualche scherzo si diceva “citto a chi sape ‘o iuoco” (zitto chi conosce il gioco/il trucco). Il trucco lo conoscono tutti ma chi può non vuole intervenire, troppi interessi sono in ballo. E intanto il dramma entra dentro casa, “tossici” delle scommesse che rubano i soldi ai propri figli, figli che “rubano” le speranze loro e dei loro genitori.

Se fino a qualche anno fa la vera emergenza era l’assenza in tanti Comuni di regole univoche che potessero impedire l’apertura di centri scommesse in prossimità delle scuole, oggi la rottura della barriera tecnologica ha reso vana anche questa battaglia: con un pc, uno smartphone o un tablet si accede alle scommesse senza che nessuno possa controllare.

Non impedire questa malattia collettiva che assume connotati sempre più inquietanti risponde alla stessa logica di chi contesta allo Stato di lucrare sui vizi dei suoi cittadini: dal fumo all’alcol.

Che male c’è? Sembra di sentirle le grancasse del “tutto è lecito”. Che male c’è se lo Stato ci guadagna sulla vendita delle droghe (“leggere”?, sic!)? Che male c’è se lo Stato ci guadagna sul mercimonio dei corpi? (ma sì, riapriamo anche le “case chiuse”). Che male c’è a guadagnare sui vizi dei propri cittadini? in fondo se si rovinano la vita e se la rovinano ai propri cari lo Stato che colpa ne ha? Se la sono andata a cercare…

Nessuno vuole o immagina uno Stato etico, ma uno Stato che, restando fedele al dettato costituzionale, metta al centro la dignità della persona e non la sacrifichi sulle esigenze erariali del “fare cassa” questo sì.

La Dottrina Sociale della Chiesa ce lo insegna, ciascuno di noi, credente o non credente dovrebbe imparare a mettere sempre l’uomo al centro della propria prospettiva.

Sono tante, troppe, le occasioni in cui si rinuncia a farlo.

Denunciarlo è solo il primo passo.

I dati delle scommesse sono eloquenti​: laddove c’è maggiore povertà cresce anche l’esposizione al rischio di ludopatia. Campania, Sicilia, Calabria e Puglia surclassano letteralmente per conti aperti per gioco online il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. Altro specchio del fenomeno è il rischio riciclaggio e lo stretto legame con il “mercato dell’usura”.

Non è solo una questione di soldi. L’azzardo brucia denaro e giornate delle persone. Consuma la vita. È stato calcolato che gli scommettitori italiani perdono un tempo sociale di 84 milioni di giorni solo per i “giochi” che si svolgono da remoto, ovvero per mezzo di uno smartphone o davanti allo schermo di un computer. L’Istituto superiore di sanità ha reso noto che a fronte di 18 milioni e mezzo di giocatori occasionali ve ne sono però 5,1 milioni che sono abitudinari e di questi un milione e mezzo sono “patologici”. Ogni scommettitore patologico spreca ogni anno 1.200 ore della sua vita, oltre ai disastri affettivi che questa deriva produce attorno a sé.

Secondo uno studio canadese il rischio di diventare giocatori patologici cresce man mano che si supera la frequenza di tre volte al mese e quando in denaro si oltrepassi nelle scommesse un punto percentuale dell’ammontare del reddito familiare. In Svizzera si sta pensando di porre proprio questa soglia quali limite invalicabile alle scommesse per poter prevenire i danni familiari, sociali e clinici. Prima della pandemia, quando il reddito pro-capite in Italia era di 21.804 euro, le perdite al gioco (per tutti i tipi, online e non) superavano ampiamente il valore convenzionale di 1,04 per cento pro-capite (in media, neonati e ultracentenari compresi).

Basterebbe questo dato per comprendere che siamo ben oltre la soglia di alert del fenomeno.

A qualcuno importa? O meglio, a qualcuno dei nostri governanti importa?

Ai parroci, ai volontari delle parrocchie, ai centri di ascolto familiari, certamente sì e lo si fa quotidianamente. Ma a chi può impedirlo qualcosa importa?

(c) Vito Rizzo 2022

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