LE NOSTRE PAROLE E LA TESTIMONIANZA LAICALE

Il cammino di Quaresima ci offre l’occasione di ripensare noi stessi, di ripensare la nostra vita, di ripensare al valore stesso che nella nostra vita riveste la Parola, sommersa troppo spesso dalle tante parole che invadono i nostri spazi, i nostri tempi, le nostre relazioni.
Eppure il nostro non è un cammino individuale e non può avere valenza solo e soltanto per noi.
In quanto cristiani siamo costantemente chiamati alla testimonianza e, al netto della nostra esigenza continua di conversione, non possiamo nasconderci sotto al moggio in attesa che il nostro cammino di conversione e di sequela sia pienamente realizzato.
Un piccolo spoiler: inutile illudersi, non lo è mai.
Eppure, come dicevo, siamo chiamati alla testimonianza continua, costante, e il nostro essere cristiani solo “nominali” può compromettere non soltanto la nostra ma anche la altrui conversione.
È di questo che dobbiamo sentire sempre forte la responsabilità.
A volte ci illudiamo di poter convertire con la forza di una Verità che dovrebbe scardinare ogni resistenza. La Verità è una conquista del cuore prima ancora che una conoscenza dogmatica o un’osservanza di precetti fideistici.
È questo quello che Gesù stesso ci insegna con il suo Vangelo nella diatriba tutt’altro che celata con scribi e farisei.
Questo cammino di Quaresima deve insegnare anche a noi laici che siamo parte integrante, essenziale e corresponsabile della Chiesa, a sentirne pienamente il peso e la responsabilità.
Papa Benedetto XI amava dire che “si evangelizza non per proselitismo ma per attrazione”.
È soltanto se traspare in noi il volto trasfigurato di Cristo che la nostra testimonianza cristiana diventa attraente e, di conseguenza, attrattiva per chi vive il proprio tempo e la propria vita non lasciandosi coinvolgere dalla gioia di Cristo.
Interroghiamoci più spesso dunque, in questo cammino di Quaresima, del digiuno stesso che alle volte dovremmo fare dalle parole superflue, dell’elemosina fatta di parole di conforto, delle parole della nostra preghiera che siano autentici canti di lode o stridenti grida di invocazione.
Quante volte, invece, delle nostre parole ne facciamo un uso sbagliato: “il vostro parlare sia sì-sì, no-no. Il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37).
Pensiamo all’uso che facciamo della parole in famiglia, al lavoro, sui social. Quante parole sono germogli vivi della Parola e quante sono invece superflue e quindi nel miglior caso inutili, nel peggiore “echi” del maligno.
Non dimentichiamo mai che il nostro cammino è sempre un “convertirsi, testimoniando”. Non possiamo rinunciare né all’una cosa, né all’altra.
Abbiamo la responsabilità dell’uso che facciamo delle nostre parole, per essere attraenti, per essere attrattivi.
Per trasfigurarci, con Lui, nella notte di Pasqua.

Il cammino di Quaresima ci offre l’occasione di ripensare noi stessi, di ripensare la nostra vita, di ripensare al valore stesso che nella nostra vita riveste la Parola, sommersa troppo spesso dalle tante parole che invadono i nostri spazi, i nostri tempi, le nostre relazioni.

 (c) Vito Rizzo 2023

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