“DON MATTEO” E “CHE DIO CI AIUTI”: IL SUCCESSO DEL VANGELO DELLA PORTA ACCANTO

 

“Don Matteo” e “Che Dio ci aiuti” sono indubbiamente le due fiction che maggiormente hanno sdoganato l’apertura del genere a protagonisti dichiaratamente religiosi. Attraverso trame avvincenti, protagonisti iconici e l’annuncio del Vangelo a fare da sfondo alle storie si è visto come il pubblico è pronto a riconoscere la bellezza del bene anche in un prodotto televisivo. Un investimento culturale importante non solo per la Lux Vide ma anche per la stessa Rai Fiction che ha scoperto l’efficacia di un prodotto in grado di far conoscere la bellezza a 360 gradi. Attraverso queste due fiction infatti abbiamo scoperto, o riscoperto, alcuni dei borghi più belli del mondo, da Assisi a Spoleto, da Gubbio a Foligno, a Fabriano e, nel caso delle prime due stagioni di “Che Dio ci aiuti”, la forse sino ad allora poco valorizzata Modena.

Don Matteo, magistralmente interpretato da Terence Hill, è stato a partire dal 2000 per oltre un ventennio il punto forte del palinsesto di Rai Uno giungendo lo scorso anno alla tredicesima stagione. Sulla falsariga del sacerdote-detective, dal 2011 è stata poi introdotta anche la versione al femminile: “Che Dio ci aiuti”, con l’altrettanto brava Elena Sofia Ricci a fare da protagonista principale.

Circondati da personaggi fortemente caratterizzati come il maresciallo Cecchini (Nino Frassica) e Natalina (Nathalie Guetta) per “Don Matteo” e personaggi intrisi di profonda umanità come Suor Costanza (Valeria Fabrizi) o Azzurra (Francesca Chillemi) per “Che Dio ci aiuti”, gli sceneggiatori sono stati in grado di conservare la freschezza originaria pur con i necessari riadattamenti dovuti al trascorrere del tempo.

Il tratto umano, profondamente esperienziale, che caratterizza le trame, il continuo incontro-scontro tra il bene e il male che si annida nelle storie personali di ciascuno, il discernimento spirituale a guidare le scelte di vita e la Parola del Vangelo a fare da soccorso nei momenti decisivi hanno, nella loro “popolarità”, un’efficacia forse di gran lunga superiore a centinaia di catechesi. Le “confessioni” raccolte da Don Matteo come i dialoghi con Gesù nella cappella delle suore sono momenti di una ricchezza spirituale che aiutano a riflettere, a meditare, a guardare dentro non soltanto l’intimità dei personaggi delle fiction ma anche le stesse dinamiche personali che caratterizzano ogni vissuto nella realtà di tutti i giorni. Preoccupazioni, incertezze, smarrimenti, speranze, riletti in ascolto davanti al Crocifisso.

Come tutte le storie, però, anche queste sono giunte pressocché in contemporanea al necessario cambio della guardia. Per motivi anagrafici l’ottantaquattrenne Terence Hill ha deciso di rinunciare alla parte di Don Matteo e la scelta come suo sostituto è andata su un sex symbol come Raoul Bova il cui ingresso nella trama della serie è stato forse un po’ forzato. Ma si sa, anche in una parrocchia, se dopo vent’anni cambia il parroco storico per il sostituto i primi mesi non sono certo di vita facile…

Più naturale invece la novità proposta in “Che Dio ci aiuti”. Ad Elena Sofia Ricci, forse stanca di un ruolo così caratterizzato, è subentrata quella che dalla prima stagione aveva fatto da spalla giovane alla protagonista, Francesca Chillemi che, nella parte di Azzurra, ha visto cambiare continuamente pelle al suo personaggio pur una mai forzata e mai banale continuità esperienziale. Forse proprio questa caratteristica riconosciuta ad Azzurra ha reso maggiormente credibile il suo passaggio da novizia a suora, e di conseguenza da coprotagonista a protagonista principale. È una storia umana e spirituale che si è costruita di stagione in stagione, anche al di là di quelle che potevano essere le intenzioni iniziali degli sceneggiatori, ma che ha portato a una maturazione interiore pienamente accompagnata e convissuta anche dai telespettatori.

Proprio nei dialoghi con il crocifisso si nota il tratto di originalità evangelica del nuovo corso di “Che Dio ci aiuta”. Una Azzurra che, nell’ispirazione della preghiera, mette a nudo la sapienza e l’intelletto che, come doni dello Spirito, guidano la sua e la nostra vita.

Mi piace quindi concludere questo articolo con due stralci presi dal nono episodio della settima stagione. Il primo sono le parole che Azzurra sussurra a una ragazza che vive il dramma di essere stata abbandonata alla nascita, una lettura del buio interiore che offre, tuttavia, un cambio di prospettiva: “sai, separarsi da un figlio è come separarsi da una parte di sé. Come rinunciare a una gamba e a un braccio. E se una persona arriva a tanto vuole dire che ha attraversato oceani di dolore e di paure. E una ragazzina in quegli oceani rischia di annegare o dio fare cose di cui si pentirà per tutta la vita. Sai tua madre era poco più grande di te ed era sola. Tu cosa avresti fatto al suo posto? Non avresti avuto paura?”. La seconda è il dialogo finale davanti al crocifisso che è in grado di raccontarci, ciascuno nel proprio ambito, ciascuno chiamato a farsi interprete della volontà del Signore: “Tutti hanno una vocazione. Occuparsi della famiglia, curare i malati, insegnare, mettere al mondo un figlio. Sei tu a chiamarci. Tu hai in mente una strada per ognuno di noi, ma le strade possono essere tortuose, piene di buche, di incroci. Così a volte ci perdiamo e non sappiamo più dove andare. Ma la nostra vocazione è sempre lì, dobbiamo solo avere il coraggio di rispondere alla tua chiamata. È la più potente e misteriosa. È la vocazione ad essere madre. Le madri cadono, si perdono… ma nono smettono mai di esserlo”.

(c) Vito Rizzo 2023

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