DAL “FIGLIO DELLA SERVA” ALL’UTERO IN AFFITTO

Cambiano i tempi ma non le prepotenze, i privilegi, l’abuso dei potenti di turno. Le tecniche si fanno sempre più sofisticate, la propaganda collettiva magari riesce anche ad ammantarli di una qualche legittimazione, ma la sostanza resta sempre la stessa.
C’era un tempo, e non è questo, in cui ci si indignava di fronte agli abusi; in cui le cose si chiamavano con il loro nome e, se non lo si faceva, era quantomeno chiara a tutta la sottesa ipocrisia.
C’era un tempo in cui il ricco, il potente, il notabile, il signorotto di paese, se non riusciva ad avere figli con la legittima consorte, era autorizzato dal suo status sociale a fecondare una qualche giovane della “servitù” di casa. Con la dolorosa compiacenza della moglie, la rassegnata condiscendenza delle maestranze domestiche e la passiva distrazione del vicinato.
La “serva” avrebbe portato avanti la gravidanza sapendo che il figlio era del “padrone”, convinta magari anche della bontà di garantirgli un futuro migliore, consolata dal fatto di poterlo vedere crescere sebbene se come figlio di un’altra… La “padrona”, appunto.
C’era un tempo in cui qualcuno si indignava.
Ora è un tempo in cui la “gestazione per altri” viene spacciata per un diritto. Dove “fittare un utero” è una pratica commerciale come tante altre. Dove chi può permetterselo ha diritto a farlo e la “serva di turno” non ha che da guadagnarci da vivere e, in fondo, da assicurare al proprio figlio “un futuro migliore”…
Ancor più se vive in Ucraina, in Georgia o in Albania, ma va bene anche in Russia, in Messico, in Grecia o negli Stati Uniti, dove le disparità economiche accrescono ogni giorno le sacche di povertà.
Certo non potrà nemmeno vederlo crescere, lo ha ceduto, con tanto di certificato di garanzia (lautamente assicurato dalle agenzie di turno) e diritto di recesso alla consegna per “prodotto non conforme”…
C’era un tempo in cui i movimenti femministi biasimavano e condannavano senza eccezioni lo sfruttamento del corpo e della integrità emotiva di ogni donna. C’era un tempo, e non è questo, in cui non si relativizzava tutto ma la lotta per la dignità della persona umana era considerata autenticamente come un valore universale, non di certo una chimera da sacrificare sull’altare dei diritti civili in un menù “a la carte”.
(c) Vito Rizzo 2023

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