LA RINASCITA DOPO LA CRISI

L’esperienza della crisi che accompagna le nostre vicende personali, e che abbiamo vissuto in forma collettiva durante la pandemia, può avere il risvolto positivo di interrogarci e di invitarci a riscoprire e a ripartire da una «grammatica umana elementare» (1) che i paradigmi dominanti della nostra società sembrano spesso sacrificare sugli altari del successo.

In fondo per rinascere dovremmo imparare a ripartire dall’essenziale come ci suggeriva già Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe. Non si può rinascere se non impariamo a riconoscere il nostro ruolo all’interno del creato, per ridarci un equilibrio smarrito come base, come humus da cui ripartire. Viviamo un tempo in cui non è messo in discussione solo qualche ambito del vivere umano ma lo stesso modello di “uomo”. Una crisi antropologica che anche Papa Francesco ha denunciato attraverso l’Encilcica Laudato si facendo appello alla necessità di riscoprire la “cultura del creato” in luogo della “cultura dello scarto”.

Se ci fermassimo a riflettere su noi stessi, ci accorgeremmo infatti che è proprio nella perdita del senso dell’umano che l’uomo si ritrova incatenato a desideri “imposti” che lo rendono sempre più “schiavo”. L’uomo moderno fa dell’appagamento dell’effimero la sua ragione di vita, una «secolarizzazione della coscienza» che come sosteneva Peter L. Berger già negli anni ‘60 conduce l’uomo al «trionfo della banalità» (2). Senza accorgercene stiamo realizzando la profezia orwelliana di 1984: per rinascere dobbiamo svegliarci da questo sogno imbonitore. L’humanum non può essere considerato più un dato acquisito che diamo ormai per scontato. Non è così! È il traguardo rigenerativo che siamo chiamati a ricostruire per donare alla nostra vita non solo una speranza ma una profonda ragione di senso.

Nella crisi si tratta di discernere e, poi, di separare per poter rinascere (del resto il verbo krino nella sua etimologia indica proprio questo). Decidere cosa della propria vita, del proprio essere e del proprio esserci conservare e cosa lasciar andare via. È questo che accade di fronte ad ogni crisi. Ecco che allora la crisi può essere un punto di svolta, può avere il merito di riaprire i giochi, di imporre un cambio di prospettiva. Perché se è vero che – come sosteneva sempre Berger – uno degli effetti più stupefacenti della secolarizzazione è stato proprio la negazione della notte, bandendola il più lontano possibile dalla coscienza, l’esperienza della crisi può imporla nella sua evidenza e necessità alle coscienze assopite nel frastuono assordante delle leopardiane «magnifiche sorti e progressive».

La rinascita parte proprio da una “presa di coscienza”. La fede ci mostra che è proprio nella coscienza che risiede il «sacrario dell’uomo» (GS 16) ed è proprio alla coscienza che bisogna appellarsi per invitare l’uomo a riscoprire l’umano che lo abita. Del resto lo stesso shalom biblico (la pace) è ri-scoperta dell’armonia della relazione.

L’unica risposta autenticamente umana alla crisi è pertanto superare il dominio della hybris, la prevaricazione dell’arroganza, per riscoprire il senso profondo della fragilità come limite “provvidenziale” (3). Una riscoperta di quell’humanitas che – come sosteneva Berger – è ricerca di un senso, di un “ordine” che si volge al trascendente (4). È una riscoperta che si fa cammino e che si arricchisce di sempre crescenti consapevolezze.

Del resto, come sosteneva Aldous Huxley «l’esperienza non è ciò che accade a un uomo: è ciò che un uomo fa con quello che gli accade» (5). Ma – come spiegava Max Scheler – solo «la storia consapevole ci rende liberi dal potere della storia vissuta» (6). Dalla crisi dobbiamo imparare anche a cogliere la ricchezza del nostro tempo: passare dalla logica dell’abbiamo (o non abbiamo) tempo a quella dell’essere il nostro tempo. Un processo che deve vedere ciascuno e l’intera umanità direttamente coinvolti in una riflessione che non si limiti a superare il contingente ma che punti a ri-generare l’essenziale. Soltanto rimettendo al centro la persona, con la sua capacità di determinarsi e di determinare il significato degli eventi, è possibile rileggere la crisi e trovare in essa una sorgente di rinnovata umanità.

La crisi si radica proprio nel fatto che – come sottolinea ancora Girolamo Fazzini – abbiamo perso il senso dell’essere noi stessi il nostro tempo; di più: «non l’abbiamo semplicemente dimenticato: l’abbiamo s-cordato, tolto dal cuore, eliminato dalla nostra consapevolezza più profonda» (7).

Dobbiamo riconoscere che per rinascere siamo chiamati a superare l’auto-inganno che ci rende schiavi, che ci fa rinunciare al senso profondo della vita, tenuti in bilico nella ricerca di false certezze di «una vita sempre provvisoria, che rinvia automaticamente ogni senso della vita» (8).

Non si può quindi guardare all’esperienza della crisi in maniera costruttiva se non si accetta l’idea di assumere il conflitto che da essa promana. In questa prospettiva riecheggiano chiaramente i quattro principi delle tensioni bipolari che – anticipati nella Evangelii gaudium, e poi sviluppati nella Laudato si e nella Fratelli tutti – sono diventati le categorie ermeneutiche che Papa Francesco offre all’umanità in cammino per un discernimento spirituale che punta alla riscoperta e alla rigenerazione di un nuovo umanesimo (9). Assumere la crisi significa tendere all’unità superando i conflitti, riconoscere la dimensione universale dell’umanità oltre gli interessi egoistici individuali, superare gli approcci ideologici rispetto alla concretezza delle sfide e delle “crisi” della realtà, riscoprire il senso profondo di un fine cui tendere per dare senso alla vita e alla storia personale e collettiva.

Per fare ciò è necessario riconciliarsi con l’humanum, riscoprire nel limite l’autentica possibilità di apertura al trascendente e alla pienezza della vita, riconoscere nella fragilità la possibilità di lasciarsi interrogare dall’eccedente.

È necessario riconoscere il peccato originario, quello dell’uomo che non accetta la sua dimensione creaturale al cospetto di Dio, che ambisce a prendere il Suo posto per riscoprirsi nudo, inerme, ingannato (cf Gen 3). Un peccato originario che accompagna la storia dell’umanità e che si ripropone in forme e modi, uguali e diversi, nell’esperienza del singolo e dell’umanità in cammino.

È l’ambizione ad andare oltre l’umano che porta l’uomo a dis-umanizzarsi, quando invece sarebbe proprio nella sua bellezza creaturale, propriamente umana, che andrebbe riscoperto il seme della sua immanente trascendenza.

La risposta al post-umanesimo o al trans-umanesimo va quindi ritrovata in quella riscoperta dell’umano che assume la dimensione della fraternità universale. Una fraternità che va ri-generata proprio come risposta alla crisi dell’umano, con attenzione, visione profetica e impegno. Perché come sostiene Edgar Morin «tutto ciò che non si rigenera degenera» (10).

La perdita dell’humanum, della sua peculiarità creaturale, della sua bellezza, della sua originalità, della sua complementarità e varietà è il rischio a cui va incontro l’umanità, con il prevalere della visione tecnocratica e di una dimensione omologante che producono il passaggio dall’Homo Sapiens all’Homo Demens (11).

È la stessa deriva denunciata da Papa Francesco con Laudato si’ (LS 106-119) e prima di lui da Benedetto XVI con Caritas in Veritate (CV 71-74) e che nella Fratelli tutti trova una prospettiva di risposta alternativa. La riscoperta dell’humanum rappresenta l’unica autentica speranza che l’umanità è chiamata a raccogliere e a far propria, riscoprendo nella coscienza del limite il senso stesso del proprio esserci nel mondo. Custode e non padrone del mondo, custode e non padrone dell’altro, custode e non padrone del futuro, custode e non padrone della vita. Nell’esperienza della crisi c’è l’opportunità del superamento di un confine, tra un prima e un dopo. Ritornare a riconoscere il limite, per imparare a superare il confine. La riscoperta dell’humanum passa dunque dalla ri-comprensione del limite per superare il confine della propria finitezza, un confine che si supera soltanto proiettandosi nuovamente verso un Oltre che dà senso e compiutezza al fine cui ciascun uomo è preordinato.

La crisi si supera se si è pronti a riconoscere un senso che ci trascende, un senso che dà senso alla storia, che dà senso alla vita, che dà senso al dolore, che dà senso alla gioia, che dà senso al nostro cammino.

È questo il segreto di ogni rinascita.

(c) Vito Rizzo 2023

Note:

(1) G.Fazzini, Siamo tempo. (L’abbiamo scordato?), EMI, Verona 2020, 11.

(2) P.L.Berger, Il brusio degli angeli, il Mulino, Bologna 1970, 125.

(3) Cf G.Fazzini, Siamo tempo, 27.

(4) Cf P.L.Berger, Il brusio degli angeli, 108-109.

(5) A.Huxley, Texst and Pretexst, in A.Tagliapietra, Esperienza. Filosofia e storia di un’idea, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017, 74.

(6) M.Scheler, L’eterno nell’uomo, Bompiani, Milano 2009, 167.

(7) G.Fazzini, Siamo tempo, 19.

(8) M.Scheler, L’eterno nell’uomo, 211.

(9) Cf V.Rizzo, Chiesa, dove sei?, effed’i, Agropoli (SA) 2022.

(10) E.Morin, La fraternità, perché? Resistere alla crudeltà del mondo, AVE, Roma 2020, 56.

(11) Cf Ib. 43-44.

[pubblicato in AA.VV., Una rondine sul tetto, L’Argolibro, Agropoli (SA) 2023, 13-18]

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*