TROVARE CRISTO NELLA FRATERNITÀ UNIVERSALE

Per cogliere il valore “politico”, oltre che pastorale della Enciclica Fratelli tutti, emanata da Papa Francesco il 3 ottobre del 2020, non possiamo che partire dall’analisi di contesto, nel rispetto del principio che vuole la realtà prevalere sull’idea. Il mondo attuale si nutre di insicurezze, di sfiducia, di diffidenza. Come sottolinea Papa Francesco «Il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli» (FT 15). La politica viene ridotta a «ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace» (FT 15) e «in questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione» (FT 15).

Occorre cambiare prospettiva! Perciò, in continuità con quanto già evidenziato nella Enciclica Laudato sì, bisogna comprendere che «prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi» (FT 17). Pertanto, sottolinea il Papa, «abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune» (FT 17). In maniera molto pragmatica si afferma che «tale cura non interessa ai poteri economici che hanno bisogno di entrate veloci» (FT 17). Ne consegue che «spesso le voci che si levano a difesa dell’ambiente sono messe a tacere o ridicolizzate, ammantando di razionalità quelli che sono solo interessi particolari» (FT 17). La cultura dello scarto che caratterizza la società contemporanea in contrasto con la “cultura del creato” si caratterizza per essere «vuota, protesa all’immediato e priva di un progetto comune» (FT 17).

Sono sintomi evidenti di questa “crisi culturale” lo scarto mondiale (FT 18-21), i diritti umani non uguali per tutti (FT 22-24), i conflitti (FT 29-31), la globalizzazione senza etica (32-41), la violenza della comunicazione (42-50). Eppure il Papa invita a non provarsi della speranza, una speranza che si costruisce proprio riscoprendosi fratelli. Di qui lo sviluppo del testo dell’Enciclica che, dopo l’analisi di contesto del Capitolo I, sviluppa al Capitolo II la riflessione attorno all’icona biblica del Buon Samaritano (Lc 10,25-37) che fa da sfondo all’intera trattazione.

Se alcuni protagonisti lasciano prevalere la difesa del proprio spazio (il sacerdote e il levita), il Samaritano, nel farsi prossimo, supera in una volta sola il conflitto e le ragioni della propria parte, affidando al tempo la cura del suo fratello. Riecheggiano nello sfondo le coordinate interpretative che Papa Francesco ci ha affidato con l’Evangelii gaudium.

Negli atteggiamenti del samaritano siamo chiamati a cogliere il valore dell’amore come carattere costitutivo dell’essere umano. Ed è proprio all’amore umano e alla sua dimensione universale che sono dedicati il Capitolo III e il Capitolo IV della Fratelli tutti. Afferma Papa Francesco che «un essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza se non attraverso un dono sincero di sé» (FT 87) in quanto «dall’intimo di ogni cuore, l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da sé stessa verso l’altro» (FT 88).

Ma – sottolinea il pontefice – «l’affermazione che come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle, se non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte» (FT 127).

Al Capitolo V è dedicata la denuncia delle storture delle visioni politiche predominanti, dai populismi al liberismo, spiegando che nella logica della “cultura dello scarto”, «il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti» (FT 155). Come sottolinea il papa «in entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture» (FT 155).

Sviluppata la “pars destruens”, i Capitoli V e VI si caratterizzano per la parte “costruens” che attinge a larghe mani dai rievocati quattro principi che caratterizzano sempre più chiaramente il magistero di Papa Francesco. Innanzitutto “l’unità è superiore al conflitto” e “il tutto è superiore alla parte”: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare» (FT 198).

Ma il Papa mette in guardia dal moderno modo di comunicare che è tutt’altro che “dialogico”… «Spesso si confonde il dialogo con qualcosa di molto diverso: un febbrile scambio di opinioni nelle reti sociali, molte volte orientato da un’informazione mediatica non sempre affidabile. Sono solo monologhi che procedono paralleli, forse imponendosi all’attenzione degli altri per i loro toni alti e aggressivi. Ma i monologhi non impegnano nessuno, a tal punto che i loro contenuti non di rado sono opportunistici e contraddittori» (FT 200). In questo giocano un ruolo fondamentale anche i nuovi media, e tra di essi i social, attraverso cui «predomina l’abitudine di screditare rapidamente l’avversario, attribuendogli epiteti umilianti, invece di affrontare un dialogo aperto e rispettoso, in cui si cerchi di raggiungere una sintesi che vada oltre» (FT 201). Quello che è peggio – afferma Papa Francesco – è che «questo linguaggio, consueto nel contesto mediatico di una campagna politica, si è talmente generalizzato che lo usano quotidianamente tutti. Il dibattito molte volte è manipolato da determinati interessi che hanno maggior potere e cercano in maniera disonesta di piegare l’opinione pubblica a loro favore» tanto che sempre più spesso «lo si giustifica o lo si scusa quando la sua dinamica corrisponde ai propri interessi economici o ideologici, ma prima o poi si ritorce contro questi stessi interessi» (FT 201).

È proprio la mancanza di dialogo che allontana ciascuno dal perseguimento del bene comune; ecco perché secondo il Papa «gli eroi del futuro saranno coloro che sapranno spezzare questa logica malsana e decideranno di sostenere con rispetto una parola carica di verità, al di là degli interessi personali. Dio voglia che questi eroi stiano silenziosamente venendo alla luce nel cuore della nostra società». C’è qualcosa di eroico infatti nel proclamare nel mondo di oggi la verità, ma bisogna riconoscere che questa è l’unica base per poter costruire – con solide fondamenta – la fraternità universale.

Ciò è vero ancor più laddove si deve recuperare e ricostruire la pace. Occorre avviare percorsi di pace che «conducano a rimarginare le ferite» ed è per questo che «c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia» (FT 225).

L’unità è superiore al conflitto soltanto se si riconosce che “il tempo è superiore allo spazio”, e anche qui gioca un ruolo cruciale il recupero della verità perché “la realtà prevale sull’idea” e la verità ne è un tratto costitutivo. Ecco perché, chiarisce il Papa, «nuovo incontro non significa tornare a un momento precedente ai conflitti. Col tempo tutti siamo cambiati. Il dolore e le contrapposizioni ci hanno trasformato. Inoltre, non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà. Quanti si sono confrontati duramente si parlano a partire dalla verità, chiara e nuda. Hanno bisogno di imparare ad esercitare una memoria penitenziale, capace di assumere il passato per liberare il futuro dalle proprie insoddisfazioni, confusioni e proiezioni. Solo dalla verità storica dei fatti potranno nascere lo sforzo perseverante e duraturo di comprendersi a vicenda e di tentare una nuova sintesi per il bene di tutti» (FT 226).

La fraternità universale è un cammino laborioso, lungo, irto di difficoltà ma è l’unica risposta vera al disegno di Dio per l’umanità: imparare a riconoscersi fratelli, figli di un unico Padre. Ed è proprio per questo che, come sottolineato al Capitolo VIII, «le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società» (FT 271). È pertanto «a partire dalla nostra esperienza di fede e dalla sapienza che si è andata accumulando nel corso dei secoli, imparando anche da molte nostre debolezze e cadute [che] come credenti delle diverse religioni sappiamo che rendere presente Dio è un bene per le nostre società» (FT 274).

Ecco allora che «cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli» (FT 274).

È questa la forza della Fratelli tutti, un documento del magistero in cui è assorbito anche il Documento sulla fratellanza umana co-firmato anche dalla guida spirituale di un’altra religione, il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Un gesto “rivoluzionario”, ancor più della citazione di Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli, contenuto nella Laudato sì. La fraternità è il modo in cui Dio si rivela nel suo essere Padre, con il privilegio e la grazia, dati a noi cristiani, di saper riconoscere nel Suo unico Figlio il compimento e la pienezza di tutta la Rivelazione. Riconoscersi fratelli è il primo (o l’ultimo) passo del cammino a cui siamo chiamati come parte dell’umanità, nella crescente consapevolezza che Dio sa parlare ai cuori attraverso vie a noi magari ignote (Ad gentes, n.7) nel modo che solo Lui conosce (Gaudium et spes, n.22).

[Articolo pubblicato sulla Rivista Punto Famiglia]

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