LA LUCE DEL VANGELO NELL’INFERNO DI GAZA

Il dramma di Gaza sta sconvolgendo profondamente le menti e i cuori del mondo intero. Per chi riconosce ai quei luoghi la memoria della presenza incarnata di Dio, sia attraverso l’esperienza del popolo ebraico, che in quella di Gesù di Nazaret, riconosciuto dai cristiani come il Cristo ma anche dai musulmani come uno dei sommi profeti dell’Islam, non può che parlarsi anche di Terra Santa.

E allora proprio la Terra Santa è teatro di un rifiuto dell’umanità che assume contorni sempre più allarmanti. La Chiesa cattolica, dapprima con Papa Francesco, ora con Papa Leone XIV fa vibrare parole nette di denuncia e di condanna, ma di certo quella che si sta rivelando come la testimonianza più incisiva e profetica è quella del Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa.

Per il successore degli Apostoli che opera in Terra Santa è sempre più evidente che si stia assistendo a una lotta tra il bene ed il male, tra Dio e gli spiriti del maligno che condizionano le menti e i cuori dei terroristi di Hamas e dei rappresentanti governativi di Israele.

Come ha avuto modo di sottolineare già nell’agosto scorso «il dolore di questo tempo non ci permette di fare discorsi sulla pace edulcorati e astratti, e perciò non credibili, né di limitarci alle ennesime analisi o denunce. Piuttosto si tratta di stare da credenti dentro questo dramma, che non è destinato a finire così presto».

Ecco allora che “stare dentro al dramma” significa anche, concretamente, come Chiesa, non abbandonare le terre più martoriate. È di pochi giorni fa la nota congiunta sottoscritta con il Patriarca della Chiesa greco-ortodossa, con cui si suggella l’importanza della presenza a Gaza rispettivamente nella Chiesa della Sacra Famiglia e nella Chiesa di San Porfirio. Si è deciso di «rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che si troveranno nei due complessi», nonostante gli inviti ad evacuare a seguito della recente decisione del governo israeliano «di prendere il pieno controllo della città di Gaza».

L’obiettivo del Governo Netanyahu è quello di azzerare la presenza non solo dei terroristi ma anche dei civili nell’intero territorio della striscia. Come si legge nella nota «la popolazione della città di Gaza dove vivono centinaia di migliaia di civili, e dove si trova la nostra comunità cristiana sarà evacuata e trasferita a sud della Striscia», ma nonostante gli «ordini di evacuazione» e i «pesanti bombardamenti» si resta lì.

La dichiarazione infatti ribadisce che «non può esserci futuro basato sulla prigionia, lo sfollamento dei palestinesi o la vendetta. Non è questa la giusta via, non vi è alcuna ragione che giustifichi lo sfollamento deliberato e forzato di civili».

Rispetto a questa visione così drastica da parte del governo israeliano non può esserci alcuno spazio alla titubanza. La Chiesa resta lì, per annunciare la verità dell’amore di Dio e per testimoniare la realtà del male che viene perpetrato.

È chiaro cosa dice il Vangelo, ed è chiaro anche che non si possa cedere a riletture, strumentalizzazioni o campagne di odio indiscriminato né dall’una né dall’altra parte. I palestinesi non sono tutti terroristi e gli ebrei nel mondo, o anche gli stessi israeliani, non sono conniventi con gli autori di una visione genocida.

La dimensione ecumenica di questa testimonianza di pace, che vuole scuotere nella verità l’opinione pubblica internazionale, senza comode ipocrisie o calcoli politici, prende spunto dalle parole che proprio Papa Leone XIV ha di recente pronunciato: «tutti i popoli, anche i più piccoli e i più deboli, devono essere rispettati dai potenti nella loro identità e nei loro diritti, in particolare il diritto di vivere nelle proprie terre; e nessuno può costringerli a un esilio forzato». Se si vuole la pace non si può che partire da qui.

(c) Vito Rizzo 2025

[Articolo pubblicato sul quotidiano Le Cronache di Salerno del 7 settembre 20025]

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